Sull’università e il suo destino. Risposta a Carlo Augieri nello scenario della “ mediocrazia”. A cura di Francesca Petrocchi

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Caro Carlo,

ho ri-letto anche stamani il tuo intervento in risposta al mio “pezzo” sull’Università e il suo destino e ti ringrazio per la benevola attenzione. Spero anche io che altri – a cominciare da studenti e laureati, i diretti interessati unitamente alle prossime matricole- si uniscano al dibattito “aperto” e dunque meritorio di essere a più voci, anche dissenzienti.

Stamani ti ho ri-letto dopo aver firmato l’appello rivolto ai Magnifici Rettori e sino ad ora sottoscritto da migliaia di docenti e ricercatori (ad oggi più di 5500) formalizzato dal Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria che si batte , fra l’altro, anche per una rivendicazione non da poco ovvero per ottenere scatti stipendiali negati per cinque anni all’intero comparto della docenze universitaria. Ecco: Dignità è la parola chiave e quella che mi ha visto partecipe e sin dall’inizio alle iniziative di questo Movimento. Dignità. Che passa anche per il riconoscimento di diritti negati. C’è chi, a livello politico-governativo (un sottosegretario il cui cognome è già tutto un programma e dunque mi taccio) ha risposto giorni orsono ad una interrogazione parlamentare in merito alla questione del NON riconoscimento di scatti stipendiali adducendo come replica che i docenti universitari hanno potuto godere in questi anni di incentivi premiali ( tipo bonus) da parte dei rispettivi Atenei. Evidentemente l’augusto sottosegretario non sa che questi incentivi premiali NON entrano a far parte dello stipendio, non sono dunque né pensionabili né riconosciuti in futuro per il nostro Trattamento di Fine Servizio. Ma si sa: quando si è a corto di repliche convincenti e legittime molti politici nostrani, per di più al governo, tirano fuori brandelli di un personale storytelling (che va tanto di moda: ciascuno sciorina il suo) pensando che gli addetti ai lavori ci caschino, restino sedotti dal “racconto” di una realtà che non corrisponde al reale.

Dopo aver apposto la mia firmetta, son passata alla lettura di un bell’articolo che avevo messo via il 19 giugno (edito sul “Sole24ore”), di Angelo Mincuzzi che è in realtà una recensione ad un volume di Alain Deneault docente di Scienze Politiche a Montreal dal titolo significativo La Médiocratie (Lux Editeur) ovvero, in traduzione, Mediocrazia. Uno studio interessante su un fenomeno interessante e dei nostri tempi (estesosi evidentemente anche in Canada: nell’era globale è proprio vero che tutto il mondo è paese): i mediocri al potere, la “media” divenuta norma.

Ma chi sono i mediocri? ce lo spiega Mincuzzi citando ampi estratti del saggio di Deneault:

“ il mediocre deve essere un esperto. Deve avere una competenza utile ma che non rimetta in discussione i fondamenti ideologici del sistema. Lo spirito critico deve essere limitato e ristretto all’interno di specifici confini perché se così fosse potrebbe rappresentare un pericolo. Il mediocre, spiega il filosofo canadese, deve “giocare il gioco”»

Che significa? Significa «accettare i comportamenti informali, piccoli compromessi che servono a raggiungere obiettivi di breve termine, significa sottomettersi a regole sottaciute, spesso chiudendo gli occhi». Significa, ad esempio, «non citare un determinato nome in un rapporto», o acconsentire «a essere generici su uno specifico aspetto, a non menzionarne altri» anche perché – aggiungo io- scomodi o destabilizzanti. Significa, in ultimo,«attuare dei comportamenti che non sono obbligatori ma che marcano un rapporto di lealtà verso qualcuno o verso una rete o una specifica cordata». Gulp! Si vede che il nostro filosofo bazzica dentro una Università…..

Si tratta dunque di comportamenti che «servono a sottolineare l’appartenenza a un contesto che lascia ai più forti un grande potere decisionale» ma soprattutto atteggiamenti «che tendono a generare istituzioni corrotte» e la corruzione «arriva al suo culmine quando gli individui che la praticano non si accorgono più di esserlo» o, aggiungo io, hanno fulminei attacchi di pentitismo subito repressi perché si sa l’uscita dal conformismo e dalla sottomissione al conformismo, a “regole” sottaciute ha costi altissimi, di poi, sul piano personale. Si rischia, anzi, si sarà “scartati” dal potere decisionale, messo ai margini, additati come portatori di peste bubbonica o come “pazzi” (da chi non ha mai letto Pirandello).

Ora, caro Carlo, tu come me serbi memorie ben concrete non solo di vita vissuta dentro l’Università ma anche fuori dell’Università; memorie che appartengono al vissuto personale come alle “vite degli altri”, amici e colleghi non fedeli alla mediocrazia che hanno pagato, per questo, un prezzo altissimo. Potrei ( potremmo dunque) sciorinare un fittissimo elenco di storie, vicende autentiche, di fatti e atti (anche d’ordine legale o giudiziario) che hanno colpito gli infedeli alla mediocrazia, quelli che non si sono piegati, ad esempio, a regole non scritte ma imperanti nel nostro “sistema”, tipo la “lealtà” e la “cordata”. Ma vorrei che fosse la dignità a prevalere sullo sdegno e soprattutto sul rancore dunque proseguo perché seppur l’analisi del nostro amico filosofo prende in esame l’intero apparato della società, a cominciare da quello politico e istituzionale, c’è dentro la sua indagine qualcosa che merita di essere “comparato” al nostro sistema universitario, già a partire dalla ricostruzione “storica”.

Cosa c’è infatti, per Deneault, all’origine della mediocrazia nel sistema politico? La morte stessa delle politica (mutatis mutandis: la morte stessa dell’università) sostituita (udite! udite!) sostituita dalla “governance”. Infatti: il declino dell’università è iniziato proprio da lì, dalla Riforma della Governance degli Atenei in molti casi ANTICIPATA anche rispetto alla “famosa” cosiddetta Legge Gelmini, anticipazione di poi sbandierata da alcuni Magnifici Rettori (e accoliti vari) come grande conquista preveggente, all’avanguardia, meraviglioso toccasana atta a porre l’asfittico, tradizionale sistema universitario ben più che “al passo dei tempi” ma addirittura all’avanguardia rispetto ai tempi.

Di che si tratta? Cito dall’articolo di Mincuzzi: si tratta di un «successo costruito da Margaret Thatcher negli anni 80 e sviluppato via via negli anni successivi fino a oggi. In un sistema caratterizzato dalla governance l’azione politica è ridotta alla gestione, a ciò che nei manuali di management viene chiamato “problem solving”. Cioè alla ricerca di una soluzione immediata a un problema immediato, cosa che esclude alla base qualunque riflessione di lungo termine fondata su principi e su una visione politica discussa e condivisa pubblicamente». Tutti «siamo ridotti a piccoli osservatori obbedienti»: gulp! Deneault ora ti mando  mail un mio personale ringraziamento.

Proseguo nel mentre reprimo altre “comparazioni” che mi sgorgano in automatico. La governance, dice ancora Mincuzzi, è una forma di gestione caratterizzata dalle «privatizzazioni dei servizi pubblici» e dall’ «adattamento delle istituzioni ai bisogni dell’imprese» anzi, aggiungo io, all’adattamento delle istituzioni formative dunque anche dell’università alle logiche e strategie delle imprese: «Anche la terminologia cambia: i pazienti di un ospedale non si chiamano più pazienti, i lettori di una biblioteca non sono più lettori. Tutti diventano “clienti”, tutti sono consumatori». E dunque: via! Con le indagini e le analisi statistiche sulla “soddisfazione” dei clienti-studenti, con le (costose) campagne pubblicitarie rivolte agli studenti (oggi, inizio degli esami di maturità, cominciano ad essere non a caso venduti supplementi a quotidiani auto titolate Guida alla scelta della Laurea) via ai concorsi a premi, ai bollini blù di “garanzia” per il consumatore-cliente, ai “crediti” e ai “debiti” formativi, all’ Open Day e altre carnevalate pubblicitarie che tutto sono tranne che un reale ben concreto orientamento agli studi universitari rivolto ai giovani studenti ed alle loro famiglie. Ma poi piantiamola di considerare l’università come istituzione di formazione in esclusiva rivolta ai “giovani”: c’è un mondo di “adulti” che ben volentieri si iscriverebbe (si iscrive già del resto seppur quale “minoranza”) all’università se trovasse una struttura didattica adeguata alle reali esigenze di chi lavora e magari ha anche famiglia senza dover ricorrere alle telematiche.

Ma c’è di più, recita l’articolo: «il centro domina il pensiero politico. Le differenze tra i candidati a una carica elettiva tendono a scomparire, anche se all’apparenza si cerca di differenziarle» anche se dopo sostanzialmente ciò che prevale è la mediocre sudditanza a falsi principi di lealtà o, peggio ancora, la strategia delle cordate “anti” non “pro”.

In ultimo, che fare? Beh un filosofo che si rispetti una qualche soluzione la deve pur dare anche se Mincuzzi ci dice che per il filosofo canadese «interrompere questo ciclo perverso non è facile» perché la«mediocrità ci rende tutti mediocri». Allor dunque: occorre effettuare «piccoli passi quotidiani». Innanzi tutto «resistere alle piccole tentazioni e dire no. Non occuperò quella funzione, non accetterò quella promozione, rifiuterò quel gesto di riconoscenza per non farmi lentamente avvelenare. Resistere alla mediocrità non è certo semplice. Ma forse vale la pena di tentare».

Piccoli passi quotidiani nel nostro piccolo quotidiano: e dire NO.

Con ciò speriamo, caro Carlo, che qualcun altro si aggiunga alle nostre riflessioni aperte.

Un caro saluto, Francesca

 

 

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