Ieri, mercoledì 11 maggio, presso la Biblioteca Consorziale di Viterbo, si è svolta la presentazione del nuovo volume a cura di Francesca Petrocchi, Le Parole di Dante. Inedite letture televisive, (1965), edito da Cesati. Sono intervenuti, ospitati da Paolo Pelliccia, il Dirigente scolastico dell’istituto F. Orioli, Pasquale Picone, Paolo Procaccioli, docente di letteratura italiana dell’Ateneo della Tuscia, e l’autrice del libro.
Presiede e introduce Picone: “Petrocchi si pone come un moderno Virgilio avendo dedicato anni e anni di studio a Dante. Dante è un tesoro di sapienza e il non sforzarsi di avvicinarlo a sé, attraverso la scuola o semplicemente leggendone l’opera, è un problema”. E’ Procaccioli che interviene successivamente con un breve discorso, pure molto efficace, sulla responsabilità che l’educazione scolastica dovrebbe assumersi nel condurre i giovani a comprendere l’importanza dell’esercizio di apprendimento di quanto ci è lasciato in eredità dai nostri padri.
Procaccioli ricorda bene Petrocchi, il professore con il quale ha svolto la tesi di dottorato: “ho un debito umano e professionale verso di lui”; felice dunque di poter presenziare durante la mattinata a riferire che Petrocchi si era alimentato di Dante, affiancando il poeta senza mai pretesa di egomania, ma lasciando sempre all’autore “il primo posto”. Dunque, si interroga, “di chi è questo libro? Di Dante? Di Giorgio? O di Francesca?”: è di tutti, di chiunque voglia dilettarsi nella lettura piacevole di queste pagine. “Ma è sul senso che dobbiamo focalizzarci”.
Petrocchi, curatore della prima edizione critica della Commedia, è un filologo e uno studioso a 360˚; nel suo intento era la volontà di raggiungere tutti, di rendere Dante fruibile. Le Parole di Giorgio Petrocchi richiamano all’ascolto del poeta: la poesia è musica, non è dottrina ma ascolto. La poesia funziona da sé, ecco perché viene citato un personaggio viterbese che si dilettava a simulare dei versi danteschi ai turisti; è probabile che “non capisse neanche” cosa pronunciava, ma “recitava quel che a lui arrivava”.
Nell’offrire il proprio prezioso contributo alla RAI, cui fu chiamato non per caso nel 1965, in occasione della ricorrenza del VII centenario della nascita di Dante, avendo la possibilità di interagire con il mezzo televisivo, Petrocchi è intenzionato a recuperare l’invito alla lettura, il rapporto tra poeta/lettore attraverso “gli ascoltatori” del medium televisivo. E poi la tenerezza dei fogli dattiloscritti ritrovati dalla figlia, le annotazioni a margine, l’umiltà di uno studioso di tale livello che si pone come trasmettitore di cultura fino alla gente comune. Si rileva necessario ricordare l’importante riforma che coinvolse la scuola italiana nel 1962 per capire quale potesse essere il livello di alfabetizzazione del popolo italiano dell’epoca.
Quando è il turno di Francesca Petrocchi, l’attenzione, si voglia avere clemenza della verità, è più viva. Con voce accompagnata da comprensibile e controllata commozione: “biblioteca, scuola e successivamente l’università. Questi i luoghi di vita di mio padre. Non è casuale la sua scelta di insegnare al Magistero piuttosto che in una Facoltà di Lettere. Lui credeva fermamente nel ruolo centrale della scuola come anello di congiunzione alla cultura, quindi si impegnava costantemente ad aggiornarsi sulla formazione dei docenti”. Reca con sé la cartellina di cui si riferisce nel libro; sorride per un istante, come a rivedere quei fogli in mano al proprietario, e procede nel racconto.
“Molto ha scritto Giorgio Petrocchi; la prima pubblicazione risale a quando aveva soltanto sedici anni e si occupava critica musicale. Ma ha prodotto anche racconti, novelle, insomma, aveva la vocazione a esprimersi nelle più varie e diverse forme possibili”. Si ripercorre brevemente la vicenda del “copione” steso da Petrocchi per il programma in progetto con la RAI, frutto di un impegno dietro il quale si celano anni di attente considerazioni. E poi la professoressa esprime qualche dovuto pensiero alla condizione del mezzo televisivo odierno.
Quella fascia di orario definita “prima serata” è ora tempestata di programmi/gioco, o varie altre chincaglierie che allietano gli italiani durante la cena; appassionati e no della televisione intendono comunque a quali futili idee si faccia riferimento. A tal proposito interviene Francesca Petrocchi ricordando un episodio che seguì la scomparsa del padre: “in Parrocchia, dove si erano svolti i funerali pubblici, giunsero un numero imprecisato di lettere di cordoglio. Erano lettere di detenuti, di gente semplice, di tutti coloro che avevano conosciuto Petrocchi attraverso la Tv e i suoi lavori. Volevano esprimere dispiacere per la sua scomparsa e spesso, soprattutto, sottolineare quanta simpatia egli suscitasse”. Perché Giorgio Petrocchi non aveva mai avuto intenzione di sottovalutare i suoi connazionali: non aveva proposto loro di contare le scatole da aprire o proposto di vincere premi. Aveva invece voluto creare una sintonia tra il proprio amore per la cultura e per Dante e la gente. Tutta la gente.
La mattinata si chiude con un filmato in cui Giorgio Petrocchi, con parole chiare sebbene dense di sapere, è per qualche attimo di nuovo filologo. “Non fatevi ingabbiare, leggete e coltivate le vostre passioni, così come fece mio padre pur spinto dalla famiglia a laurearsi (anche) in giurisprudenza. Anche all’epoca non era possibile programmare un futuro, la fine della seconda guerra Mondiale non era poi così lontana”, sottolinea Francesca Petrocchi, ricordando come gli umanisti sappiano tante cose e come tante di più ne possano apprendere attraverso il piacere dell’incontro con il testo.
Il piacere di ascoltare alcune persone non ha mai limite. Francesca è una moderna Beatrice, allora; sono vive le radici della sua bella famiglia, è integro il sapere dello studioso Petrocchi attraverso il cuore, la professionalità, la bellezza di una figlia.
Barbara Bruni
In foto: Francesca Petrocchi