Parla come mangi. Lingua portoghese e cibo in contesto culturale. A cura di Emma de Luca. Premessa di Mariagrazia Russo e Alba Graziano, Viterbo, Sette Città, 2015, 292 pp. [ISBN 978-88-7853-702-6]
Il 5 maggio, come stabilito nel luglio 2009 dalla Comunità dei paesi di Lingua Portoghese, (CPLP), è la giornata della Lingua Portoghese, appunto, e della Cultura. Per celebrare la ricorrenza all’Università della Tuscia, alcuni docenti e i loro allievi si sono cimentati nella stesura di un volume, risultato di uno studio multidisciplinare; tutti d’accordo, però, nel convergere su un tema comune: parlare di cibo.
Cibo, innanzitutto, come convivialità tipica di ogni festeggiamento; cibo come cultura e tradizione, riflessione linguistica; cibo e arte, cibo come argomento di attualità grazie anche all’Esposizione Universale di Milano, Expo 2015, terminata lo scorso autunno, che ha trattato di come Nutrire il pianeta, e Energia per la vita.
“Siamo quel che mangiamo. Ma siamo anche quel che parliamo”, scrive Emma De Luca nella piacevole introduzione al volume già ben introdotto da una colta premessa dell’esperta di studi di lusitanistica, Mariagrazia Russo, e dall’anglista Alba Graziano che vogliono farci riflettere sull’abbinamento lingua-cibo. Citando lo scrittore romantico brasiliano José de Alencar: “Un popolo che assapora l’anacardio, il mango, il cambuca’ e la jabuticaba, può parlare una lingua con la stessa pronuncia e con lo stesso spirito di un popolo che mangia il fico, la pera, l’albicocca e la nespola?”; a ogni comunità sia data giustizia.
Il volume stampato con il contributo dell’Instituto Camões/Portugal, è composto di ben sedici saggi suddivisi in due sezioni, ovvero, una prima parte è dedicata ai sapori lusitani; successivamente il volume presenta altri gusti. Sono intervenuti diversi studiosi dell’Università viterbese a dare il proprio contributo: tra gli esperti di cultura portoghese molti i giovani praticanti, la stessa curatrice del volume con un pezzo dal titolo Cibo e ritualità nel Candomblé dove tratta dell’importanza dei rituali legati al cibo. Maria Antonietta Rossi affronta un tema attuale in tempi di fenomeni migratori inarrestabili, studiando il lessico culinario di origine araba nella lingua portoghese.
La sezione dedicata alla Lusitania si chiude con il brano di Mariagrazia Russo laddove la mano del maestro ci guida attraverso un percorso paremiologico: la conoscenza della cultura, delle tradizioni e della quotidianità portoghesi sono davvero ampie. Successivamente nel testo si alternano nuove riflessioni: da Timothy Mo con Cristina Benicchi, che propone una attenta analisi sul “trauma dell’esilio, il turbamento culturale, le complesse dinamiche di dis-location e re-location spaziale e culturale” attraverso la metafora del cibo.
Sonia Melchiorre studia i modelli femminili associati al cibo di cui fa ampio uso la pubblicità in lingua inglese; Anna Romagnuolo, esperta di politica internazionale, analizza il valore politico del cibo che “ non è però esclusivamente ascrivibile alla sua funzione nutrizionale e alla valenza simbolico-culturale di cui si è arricchito nella storia delle civiltà alimentari. Il cibo ha un ruolo politico perché è anche un linguaggio […]”.
E poi il cibo nell’arte: Simona Rinaldi ci riporta al clima fastoso delle tavole rinascimentali e seicentesche imbandite “partendo dalla nozione che la ricchezza della tavola è direttamente proporzionale ai commensali presenti e all’importanza dell’evento”; un saggio semplicemente bellissimo denso di sapori e colori. Parte di una ricerca molto ampia, è l’estratto di Alba Graziano, Direttore della rivista “Fictions. Studi sulla narratività”, che da tempo si occupa di indagine sul genere del menu. Uno studio impegnato, di tipo scientifico, oserei dire, sebbene assai dilettevole, sulla traduzione dei menu dall’italiano all’inglese e su come questi non possano essere altro che “una sorta di case study paradigmatico di alcune delle maggiori difficoltà in cui è quasi scontato che incorra il parlante italofono di lingua inglese”.
Colto, ricco e corposo il saggio di Francesca Petrocchi dal titolo Il viaggio alle Antille di Lionello Fiumi: ‘inghiottire’ l’alterità. E allora quando mangiare il cibo locale, in viaggio, “significa compiere un’esperienza conoscitiva analoga a quella dell’appropriarsi della lingua locale seppur frammentariamente quando la distanza dal nostro abituale linguistico è incolmabile”, sì che il viaggio diventa vera esperienza “intesa e vissuta nel segno del cambiamento di prospettive interiori e identitarie […]”. Francesca Petrocchi, che si è già ampiamente occupata anche, e non solo, di studi sul cibo, ci regala un ritratto eccezionale delle “terre dalle fattezze dell’Eden”.
La preziosa pubblicazione, appetitosa, è una lettura interessante e consigliabile a tutti: dai Macaroni, al banchetto che la regina D. Maria I volle offrire alle suore del Sacro Cuore di Gesù, alle tavole dei presidenti americani, ce n’è davvero per tutti i gusti e per chi ha sempre voglia di cultura, perché a cultura è a ùnica riqueza que os tiranos não podem confiscar…
Barbara Bruni