“E poi io credevo a una cosa. Avevo in testa un mito. Un’idea. Purtroppo la storia è andata avanti: la classe operaia, come classe che doveva dirigere tutto, come diceva Marx… oramai è una specie in via d’estinzione. Anche numericamente. Come il lupo… Ci siamo estinti già da un pezzo. Come il bisonte dell’Europa. Come i Mammut”. (Antonio Pennacchi – Mammut)
Vincitore del Premio Strega con il romanzo “Canale Mussolini”, Antonio Pennacchi ritorna proprio in questi giorni sugli scaffali delle librerie con il suo primo romanzo “Mammut”. Scritto alla metà degli anni 80’ e pubblicato dopo numerosissimi rifiuti per la prima volta nel 1994 per le edizioni Donzelli ed ora riproposto da Mondadori, “Mammut” viene polemicamente presentato come “il libro che Marchionne e la Fiom dovrebbero leggere”.
Il romanzo è ambientato in una fabbrica, la Supercavi di Latina, e il protagonista della vicenda è Benassa capo storico del Consiglio di fabbrica e rappresentante sindacale, uomo attivo, combattente, colto (perché poi, chi l’ha detto che un operaio non possa essere colto?) che in passato è stato a capo di importanti azioni come l’occupazione della centrale nucleare di Nettuno, e che, a malincuore, si ritrova a dover annunciare ai suoi colleghi di aver accettato la proposta di restare a casa due anni per scrivere un libro sulla Supercavi. Benassa diventa un nuovo tipo di intellettuale che sceglie la cultura per disperazione e la sceglie nel momento in cui la collettività, l’unione, la fraternità nata dalla lotta che nei suoi anni precedenti ha caratterizzato il rapporto con i suoi colleghi viene meno. Benassa diventa uomo di intelletto nel momento in cui si ritrova solo nelle idee e, non con poco dolore, costretto ad allontanarsi dal gruppo di appartenenza.
Il romanzo potrebbe essere considerato un saggio storico, pur non essendolo, un manifesto che descrive perfettamente l’insopportabilità del lavoro in fabbrica nel momento in cui viene meno l’orgoglio del più debole che si piega alla volontà del padrone. In “Mammut” Pennacchi descrive i primi sintomi del disgregarsi della classe operaia che negli anni settanta aveva formato un ceto sociale, forte unito e agguerrito, e che oggi, per colpa di cambiamenti economici e sociali che ne hanno cambiato le priorità, è solo un insieme di individui lontani e impauriti.