Cara Francesca,
la lettura del tuo intervento sull’Università italiana, profondamente responsabile, come ogni tuo intervento militante sui vissuti della cultura di questo nostro difficile tempo, invita a riflettere a ‘più voci’ in un dibattito che mi auguro partecipato e coraggioso. In effetti, nel tuo articolo si discute sull’Università dei nostri anni, che si va sempre più appiattendo secondo un modello aziendalistico dell’amministrazione e della didattica, interessato a ‘vendere’ i suoi prodotti culturali sul mercato della competizione, ad identificare gli studenti come clienti da attrarre e favorire, ed a valutare i loro esami secondo la logica ‘mercificante’ del debito e del credito.
Ovviamente, è angosciante tutto questo; ma l’alternativa che voglio porgere non è in favore di una logica idealistica che demonizzi l’economia, in difesa di una cultura ‘alta’, attenta alle sole creazioni dello Spirito ‘liberatore’ e ‘liberato’ dalla pratica e dalle situazioni contingenti. Perché attento, soprattutto, all’extra-mondo delle idee ed alle forme ‘fuggitive’ rispetto ad ogni determinato contenuto contiguo al reale, da sopportare, contagiato dalla storia e dai suoi bisogni.
In un tempo in cui si vivono possibilità nuove, mai sperimentate prima, quali il multiculturalismo a portata di mano, il terzomondismo che si affaccia per la prima volta alla storia ed il riconoscimento, ancora timido, del primato del creativo in ogni relazione umana, anche di tipo tecnico e commerciale, sarebbe bene che l’Università italiana cogliesse anche il lato imprenditoriale (più che aziendalistico) del suo ‘fare’ e trasmettere’ cultura, in modo che il pensiero (soprattutto umanistico) partecipasse al processo di liberazione degli uomini dal bisogno, dalla povertà, che, quando si sradica dalla cultura materiale popolare, diventa miseria, dunque alienazione deviante, sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Non mi spaventa la crisi che stiamo vivendo, ma la risposta in tono minore, per distrazione e per superficialità, a quanto sta accadendo nella storia dei nostri giorni: vorrei che l’Umanesimo scientifico, l’Umanesimo insegnato nelle nostre Università si sentisse più responsabile, più impegnato in una sua missione culturale locale, nazionale ed internazionale: sapersi rendere utopia in un tempo distopico; saper indicare l’ideale realistico in un tempo riduttivamente realistico senza ideale.
Non si tratterebbe, di conseguenza, di considerare gli studenti come clienti, bensì come giovani coscienze da coinvolgere in un progetto comparato comune, per il quale sapere è ricerca di un poter fare per il bene comune; di considerare le altre Università ‘vicine’ non come sedi con cui competere, ma inter-aree del sapere plurale, che prevede lo specialismo aperto attinente alle vocazioni antropologiche ed anche economiche dei luoghi in cui sono inserite.
Insomma, grazie alle tue sollecitazioni, carissima Francesca, il mio vuole essere un umile invito alle Università perché si approprino di più coraggio creativo nella proposta di uno studio seriamente partecipe alla storia, con l’intento di emanciparla dalle logiche dei tanti Marchesi del Grillo di turno, personaggi ormai ridicoli nel tempo in cui ben ritornino i Grilli parlanti, profondamente parlanti fin nelle aule delle nostre Coscienze.
Carlo Alberto Augieri, Ordinario Università del Salento