Da un verso di Hamlet si ispirò per dare il titolo al suo lunghissimo romanzo Infinite Jest (1996), dove il tennis, di cui era appassionato, diventa metafora per descrivere la complessità della società contemporanea e il lento logorio che l’inarrestabile competizione sociale provoca nei rapporti umani.
David Forster Wallace rivive in questi giorni sul grande schermo: da giovedì 11 febbraio in The End of the Tour. Lo scrittore statunitense è protagonista di una pellicola tratta dal libro di David Lipsky in cui si racconta di una densa conversazione lunga cinque giorni che il giornalista di Rolling Stone registrò durante una parte del tour americano di promozione di Infinite Jest con l’autore.
L’intervista del ’96 non fu mai pubblicata; Lipsky e Wallace non si incontarono più: nel 2008 lo scrittore, definito dal New York Times “ la mente migliore della sua generazione”, si tolse la vita. Quanto i due siano stati sinceri l’uno con l’altro, quale profonda amicizia abbia potuto nascere in un breve arco di tempo, cosa ricercasse ognuno dall’altro e entrambi dalla propria vita, non sarà mai rivelato. Ma dalle cinque giornate di viaggio nacque l’apprezzato libro di Lipsky, Come diventare sé stessi, e da quel libro è ora in uscita nelle sale italiane la trasposizione cinematografica, già presentata in anteprima al Sundance Film Festival 2015.
Il film è diretto da James Ponsoldt per la sceneggiatura di Donal Margulies, vincitore del Premio Pulitzer e gli interpreti Segel e Eisenberg sono perfettamente calati nella parte.
Ieri sera, in anteprima, la sala dello Stensen di Firenze era affollata e il pubblico soddisfatto: evidentemente numerosi i pensieri che convenivano nella testa di quell’ “ Emile Zola post millennio”, (dal New York Times), tanto che Wallace indossava sovente una bandana appunto utile per “contenere la vastità della propria mente” come rivelò a Lipsky. Buon viaggio….
Barbara Bruni