Ha raccontato suo padre, il re del narcotraffico Pablo Escobar, nel bestseller internazionale ‘Il padrone del male’. Ma a quella storia sentiva che mancava qualcosa e ora Juan Pablo Escobar, il figlio del grande bandito colombiano, ne parla di nuovo, ma da una prospettiva diversa, quella dei peggiori nemici del padre nel libro ‘Gli ultimi segreti dei Narcos’ , pubblicato come il precedente da Newton Compton. “Racconto Pablo Escobar non solo attraverso l’affetto che mostro per mio padre nel primo libro, ma anche attraverso l’odio dei suoi peggiori nemici che gli sono sopravissuti. Ho cercato di avvicinarli ed è stata la prima volta che hanno parlato espressamente di lui. Questo mi ha permesso di conoscere mio padre da un’angolazione molto diversa. Il risultato è una radiografia completa di chi era” dice all’ANSA Juan Pablo Escobar, protagonista nel giorno di chiusura di ‘Libri Come’ di un atteso incontro con Giancarlo De Cataldo all’Auditorium Parco della Musica di Roma.
“Se paragoniamo mio padre ai narcotrafficanti di oggi lui sembra un bebè. Non lo dico per minimizzare i crimini che ha commesso, ma per mostrare come si è evoluta la situazione del narcotraffico nel mondo. Le cifre parlano chiaro: mio padre si vantava di riuscire a portare 500 chili di cocaina in America. All’epoca questa era una grande impresa. Oggi i narcos la prima prova che fanno è di trasportare sulle rotte del narcotraffico 4 mila chili e se ci riescono ne mandano 30 mila di chili. E la situazione è peggiorata dopo l’11 settembre con l’inasprimento dei controlli alle frontiere. Più controlli significano più corruzione” spiega il figlio di Escobar che ha 40 anni, fa l’architetto-designer, vive in Argentina con la moglie e i figli. Il passaporto per gli Stati Uniti “non lo avrò mai, soprattutto dopo questo libro. Lo danno più volentieri ai narcotrafficanti. Io forse – dice – lo avrò in un’altra vita”. “Il proibizionismo è un grande affare. Fabbricare cocaina non è caro, però, con il proibizionismo, al momento della vendita, vale molti soldi. Se ci fosse il proibizionismo sulle pizze sarebbero carissime e la gente ne mangerebbe di più” sottolinea Juan Pablo Escobar e incalza: “Se vogliamo avere dei Pablo Escobar in futuro la strada migliore è il proibizionismo”.
Dalla sua complessa posizione di “figlio di” che si opponeva al padre, ma aveva un buon rapporto con lui perché “era molto affettuoso e protettivo con la famiglia”, Juan Pablo Escobar ci tiene a precisare che tutto quello che ha fatto e scritto “in nessun modo è stato per esaltare mio padre. Sono orgoglioso di lui, ma non del bandito che è stato” afferma. Ne ‘Gli ultimi segreti dei Narcos’ riporta le testimonianze e conversazioni con testimoni e informatori come Quijada, il tesoriere personale del padre, la cugina del suo genitore, Luz, ultima ad averlo visto vivo. E poi con Otty Patino, il fondatore del gruppo che diventò il braccio armato del boss colombiano e con William Rodriguez Abadia, il figlio di Miguel Rodriguez Orejuela, uno dei principali nemici del padre. “Il contributo di mia cugina Luz è stato il più duro per me da scrivere, quello che mi ha ferito maggiormente, perché io ho conosciuto un Pablo diverso. Ho potuto intervistare le tre persone che si sono prese cura di lui nelle ultime 72 ore della sua vita, quelle che avevano nascosto mio padre quando valeva 20 milioni di dollari ma non lo hanno mai consegnato. Ho potuto fare un raffronto tra come era lui nell’epoca d’oro e in quegli ultimi giorni in cui aveva perso l’amore per se stesso” racconta il figlio che sta lavorando con psicologi, filosofi ed esperti ad un libro per le scuole.
“Le serie tv sui narcos stanno creando una generazione di giovani disposti ad essere gangster e lo dico perché mi arrivano messaggi sui social e ricevo foto di questi ragazzi che si mascherano da mio padre, si pettinano come lui e si fanno crescere i baffi. Le serie tv stanno glorificando la sua figura. Anche io venderei il triplo se facessi libri che lo esaltano” dice Juan Pablo che invece si è impegnato nella direzione opposta, che al padre chiedeva “di non mettere le bombe, ma lui era una testa dura, faceva quello che voleva”, sottolinea spiegando di aver sempre avuto accanto, nella sua battaglia per la pace, anche la madre e la sorella che vivono anche loro in Argentina. (ansa)