Trentatré anni di vuoto, innumerevoli depistaggi e tanta, tanta sofferenza. Tutto questo è stato ed è ancora il “caso Orlandi”, il rapimento della giovane cittadina vaticana avvenuto nel 1983.
Un rapimento che non ha mai avuto un colpevole, un mandante certo, ma che chiaramente ruota attorno alle vicende dello stato più piccolo e più potente del mondo ed è legato agli affari poco leciti della sua banca, lo IOR, che all’epoca dei fatti era attivissima nel movimentare capitali che spostavano le geometrie politiche internazionali e gli affari di criminalità organizzata.
Questa è la strada che il regista Roberto Faenza intraprende per dare una chiave di lettura al rapimento di Emanuela, questo è il plot narrativo che si dipana da subito ne: “La verità sta in cielo”, film prodotto dalla Rai e dalla casa di produzione del regista, la Jean Vigo Italia. Jean Vigo che è subito citato dal regista torinese in conferenza stampa proprio per rivendicare la vocazione del film, quella di documentare la realtà. Una realtà che esplode nel film immediatamente, divampando attorno alla famiglia Orlandi per poi scorrere come un fiume in piena nei salotti del cardinale Marcinkus e nell’intreccio tra la banda della Magliana, raccontata nella sua figura principale di Renatino De Pedis, e poteri forti che muovono le fila di questo intrigo spietato in cui rimane stritolata l’innocenza di Emanuela di cui nessuno avrà pietà.
L’escamotage narrativo di Faenza per metter in scena questa “Ustica del Vaticano” è dato da una giornalista inglese, Maria, che viene inviata a Roma per approfondire quella che anche a Londra chiamano “Mafia Capitale”, che vede coinvolti personaggi che a vario titolo ruotavano nel caso mai risolto nel sequestro del 1983 di Emanuela. E partendo dalle conversazioni con Raffaella Notariale, giornalista Rai che tanto si è occupata degli intrecci della Banda e che a suo tempo intervistò Sabrina Minardi, l’amante di Renatino De Pedis, Maria si avvicinerà pericolosamente alle alte sfere del Vaticano che in una bilancia tra bene e male, tra verità e bugie la lascerà attonita.
Una ricostruzione perfetta; cinematograficamente parlando è un film bellissimo, che seppur pronto a raccontare trame oscure riesce ad esser avvincente, superbo nello stile e nella ricostruzione scenica. Un film che per dirlo con le parole del regista: «ricorda Guernica, il quadro di Picasso, perché è una raccolta di immagini forti e diverse che raccontano un unico misfatto. Questo film del resto abbozza una sorta di Guernica all’italiana, dove entrano dentro bande di malviventi, malaffare e uomini più vicini all’inferno che al paradiso, banchieri e notai, tutta gente al disopra di ogni sospetto».
Un cast ricchissimo e diretto con sapienza fa da grancassa ad un’opera che andrà incasellata e conservata negli archivi della nostra storia, come per “Vajont”, per “Buongiorno notte” o per “Il muro di gomma” solo per citarne alcuni, perché la scomparsa di Emanuela è una macchia indelebile per il paese e per i rapporti tra Stato e Chiesa. Riccardo Scamarcio è praticamente perfetto nel ruolo di De Pedis, ma ci piace citare le tre donne protagoniste del film, Valentina Lodovini nel ruolo di Raffaella Notariale, Maya Sansa nel ruolo di Maria e la trasformista Greta Scarano, già impegnata in un ruolo chiave in “Suburra” e che qui interpreta Sabrina Minardi prima e dopo le tragedie della sua vita, sottoponendosi per questa prova ad un trucco faticosissimo.
Un cameo nel film lo offre proprio Pietro Orlandi, che da sempre lotta per trovare chi ha fatto del male a sua sorella. «Ci ho messo la faccia, del resto sono 33 anni che ce la metto» ci sussurra con quel suo sorriso delicato e disarmante che è anche la sua forza. Molto si è polemizzato attorno a questa sua presenza, arricchita anche dalla piccola apparizione di sua figlia Elettra, nipote di Emanuela e che nei primi minuti del film interpreta una delle sorelle Orlandi. Ed è sempre Pietro a stemperare tutto senza un briciolo di risentimento: «aver visto mia figlia in quella scena mi ha riportato un pezzo di Emanuela viva, è stato bellissimo e commovente».
Chi conosce il destino di Emanuela? Perché tutti i pontefici che si sono succeduti dal 1983 ad oggi non hanno mai collaborato alla ricerca della verità che, è la tesi univoca del film, è riposta nelle carte e nelle coscienze oltre quelle mura?
“La verità sta in cielo” parafrasa il titolo del film, che però indica nel suo scorrere ferocemente e con fermezza quanto essa sia invece terrena e quasi a portata di mano. Un racconto oscuro che trova la chiosa nella frase finale dell’anziano monsignore che aiuterà Maria nella sua infruttuosa ricerca filmica: «nel paese delle menzogne, per arrivare alla verità occorre incontrare molti bugiardi».
Mauro Valentini