Un giorno di festa – Una storia d’amore. Graham Swift, Vicenza, Neri Pozza, 2016.
Confermo: l’atmosfera che si respira tra queste pagine è un po’ quella tipicamente inglese riconoscibile anche dalle parole di Ishiguro: le stradine in mezzo al verde che percorre Mr Stevens in auto, le lussuose dimore delle agiate famiglie, la servitù. E poi anche una fontana in mezzo al parco di una villa..un po’ come quella dove si bagna Cecilia, un po’ come quella che appare peccaminosa agli occhi della “povera” Briony Tallis, futura scrittrice. Solo che qui nessuno deve espiare qualcosa. Eventualmente è un riscatto che si cerca; da un dolore mai volutamente troppo esternato, dalla perdita di un amore, dalla condizione di appartenenza a un livello sociale troppo basso per essere accettato da una domestica intelligente.
È il 30 marzo dell’anno 1924, è il Mothering Sunday, giorno della Festa dalla Mamma, il giorno in cui cambia la vita di Jane Fairchild, una trovatella arrivata a prestare servizio presso i Niven dopo la Prima guerra in età adolescenziale. Siamo nel Berkshire, Inghilterra. Philip e James Niven sono deceduti combattendo come è stato tragicamente anche per i ragazzi Sheringham e Hobday. L’unico giovane superstite dei tre casati accomunati da simile cordoglio è Paul Sheringham prossimo alle nozze con Emma Hobday e con il suo denaro e i suoi abitini da Miss qualcosa. Paul invece è uno “stallone” e anche un purosangue ma queste parole non sono ancora parte della nuova lingua che Jane, detta Jay, vorrà trovare per scrivere i propri libri e diventare una romanziera.
In una calda giornata festiva di marzo i Niven e gli Sheringham sono invitati a pranzo dagli Hobday: occasione per discorrere sull’imminente matrimonio e, per i Niven, anche opportunità di ovviare alla mancanza della servitù visto che il personale di servizio ha diritto a un giorno libero per il Mothering Sunday. Jane pensa di trascorrere la giornata di festa in giardino a leggere e proprio quando sta per chiedere l’autorizzazione a rimanere in casa il telefono squilla, lei risponde. Dall’altra parte parla Paul, suo amante da sette anni; suo amico come lui gli aveva detto un giorno e “lo aveva fatto a mo’ di annuncio, e lei si era sentita girare la testa. […] Si era sentita leggera come una piuma. Aveva diciassette anni. Aveva smesso di essere una prostituta. Amica“; ma che fossero amici e/o amanti contava che “loro due avevano fatto di tutto, insieme, e in ogni genere di luoghi segreti”.
Ma oggi è diverso; il giorno di vacanza segna il capolinea per i due ragazzi e Paul ha deciso di “festeggiare” a sorpresa.. a suo modo…; Paul ha ventitré anni, una brillante carriera da avvocato che lo attende dopo gli studi e Emma – che egli non chiama neanche per nome, lo aspetterà ogni sera al rientro. Paul non ha mai dimenticato un giorno del 1915, quando “prima che arrivassi tu Jane”, la “genìa” – è così che chiama i suoi, aveva deciso di dar via Fandango. Ai prossimi lettori converrà tenere a mente chi è Fandango e l’appartenenza della quarta zampa di questo purosangue da corsa, capriccio di famiglia Niven.
Doppia sorpresa dunque perché non soltanto i due innamorati si vedranno ma per il giorno speciale la cameriera Jane è invitata a casa di Paul. La domestica dei Niven potrà, anzi, dovrà entrare dall’ingresso principale, come una vera signora, e non occorrerà che passi dalle strette vie secondarie attorno al giardino: oggi per lei è aperto il viale di accesso rallegrato da piante di limoni e narcisi. Sono ordini dell’amato che la ospiterà nel proprio letto, nella camera “da figlio”, la spoglierà con devozione, come un servo fa con il padrone perché quel padrone è colui che gli evita i crampi della fame.
E le dirà che ha personalmente accompagnato le inservienti alla stazione quindi la grande dimora è tutta per loro e intanto lei spoglierà lui; e intanto Jane non smetterà mai di pensare e pensare. Sono vivi i timori della giovane, sono tanti e tutti hanno motivo si esistere; a tutti, un inaspettato evento darà (forse) risposta. Poi c’è il non-detto come qualcosa che tra i due non ci fosse mai stato tempo o luogo di spiegare, come qualcosa che quasi non poteva essere spiegato, come un istinto all’amore e basta. Come ciò che trova soluzione tutto in una volta, nel silenzio di qualche azione voluta e definitiva.
È un romanzo toccante, che arriva alle viscere, breve; volutamente non saranno raccontati in questa sede gli eventi principali: è troppo emozionante scoprirli e fermarsi a riflettere sulla lentezza con cui Paul compie in silenzio alcuni gesti consueti; è talmente introspettivo perscrutare nella fretta improvvisa che accora il rampollo; perché è una fretta obbligata, di dovere, di non-volere, di dolore, di non-amore. Paul che si era volutamente sottratto dalla “festa con le famiglie” nascondendosi dietro volontà di studio, proprio come un ingenuo pensiero da ragazzi. Paul che, poco dopo, cosciente di dover “diventare uomo”, decide. Ho avvertito una meravigliosa fretta di leggere il libro appena mi è “scivolato” tra le mani, in un giorno di festa anche per me, in un luogo incantato. Fretta, istinto, pensieri: dal primo momento ho anche avuto una personale idea sugli accadimenti in Mothering Sunday.
Paul inizia a correre improvvisamente dopo aver trascorso delle ore con la sua donna; fin quando c’è Jay con lui i movimenti sono studiati, tutto è organizzato e lento, lento, assaporabile, gustoso. Jay non parla, lui neanche: il silenzio ancora una volta è errore ma intesa. Poi un traguardo da raggiungere che è anche una fine, il caso o la volontà non fanno testo; una fine lo aspetta comunque. Jane è forte, due volte nello stesso indimenticabile giorno perde tutto. Una prima descrizione sul comportamento di questa esile ragazza: “si sentì invadere da una sensazione improvvisa di libertà. La sua vita stava cominciando, non finendo. […] Era come se l’intera giornata avesse invertito il proprio corso, e tutto quel che si stava lasciando alle spalle non fosse rimasto racchiuso e murato dentro quella casa. […] Ma la sensazione sarebbe rimasta identica anche quando, di lì a poco, avrebbe scoperto che quella giornata era davvero cambiata, e nel modo più drammatico. Come poteva la vita essere al tempo stesso così crudele e così magnanima?” Tutto è soltanto una reazione all’impotenza delle situazioni, Jay è consapevole del dolore che la attende e che le farà compagnia per sempre perché non si dimentica mai di avere sofferto; la paura poi resta attaccata alla pelle come fosse sudore. Paura di udire sgradevolezza, di non udire, del silenzio, di perdere qualcuno che non è uno qualunque, di dover “vivere” senza.
Pure, poco prima “un refolo di speranza” la scuote..; che Paul abbia segretamente pensato di incontrare e “scontentare la promessa sposa per riconquistare la propria libertà”? E poi un fiore, “rubato” da casa Sheringham per provare a sé stessa che tutto era accaduto veramente e “ per ricordare un evento di cui nessun altro avrebbe mai saputo nulla”. Dolore allo stato puro, direi, mascherato da una insostenibile e penosa volontà di non disperare; di non modificare una quotidianità ormai insignificante. In poco più di 130 pagine Swift è talmente abile con le parole a descrivere certi sentimenti e è talmente bravo da “riportare” nella realtà non soltanto i personaggi del suo recente capolavoro, ma anche i loro fantasmi.
È questa una storia d’Amore più consapevole e dolorosa di quella storia dei due innominabili di Verona; è qui che trovo conferma dell’idea che quel pur romantico Sonetto Shakespeariano N. 116 – “amore non è amore se muta quando…” – non può che essere una meravigliosa trovata poetica di quel geniale vate di tutti i tempi. Poiché più forte dell’Amore può essere la paura, più forte è la conoscenza del proprio dolore: è questa la più temibile sensazione che si impadronisce impietosamente del genere umano, il dolore e sua gemella è la paura. Jane avrà modo di riscattarsi divenendo una nota scrittrice moderna che soltanto negli ultimi anni della propria vita, ormai lontana dalla ricerca di tutela per la propria persona, avrebbe deciso di narrare alcuni episodi personali. Ma mai avrebbe riferito di lei e Paul forse perché “raccontare storie, inventare racconti.. Aleggiava sempre il sospetto che farlo significasse commerciare in menzogne. Ma per lei, raccontare sarebbe sempre coinciso con la ricerca del modo più rapido ed efficace per attingere all’essenza delle cose: commerciare, sì, ma in verità. […] In cosa consisteva esattamente, dire la verità? […] Si trattava di rispettare la natura più profonda dell’esistenza, tentando di spiegare, anche se non sarebbe mai stato possibile, cosa si provasse davvero, a essere vivi”.
Jane voleva trovare una lingua adatta a recitare ma senza rivelare, “per attraversare una barriera impenetrabile” e poi voleva procurarsi una spiegazione a tutto fino a rendersi conto che non tutto può essere davvero decifrato, come un certo tormento, o come alcuni momenti vissuti o l’inquietudine; sarebbe bello poter realizzare la non-esistenza di quelle che altro non sono se non “creature” abiette della mente umana, ansia, paura.. Forse non si può spiegare neanche l’Amore e proprio per questo si scopre di amare qualcuno animatamente e per sempre.
“Siamo amici Jay”, le aveva detto Paul, come una promessa; era proprio una promessa, semplice, tra “due voci” e due cuori: intoccabile e per questo era dato continuarlo per tutta la vita quel patto d’amore, senza fine. Non desiderava “tanto” altro Paul…e Jay, la cameriera che percorreva velocemente il tratto da Beechwood a Upleigh in sella alla Seconda Bici, ignara dapprima di essere la unica destinataria di un pegno d’amore, non aveva al principio compreso; piuttosto, per il resto della lunga vita aveva sempre cercato e fornito spiegazioni, forse. Lei che in fondo voleva soltanto dire “tienimi con te Paul”. D’un tratto aveva capito: la quarta zampa era sua, e non avrebbe potuto essere altrimenti. “Paul non aveva nessuna fretta. Il sole lo illuminava in pieno, e due strisce d’ombra gli scorrevano sul torso. Finì di caricare l’orologio”…
Barbara Bruni
In foto: Immaginando Fandango