“Alento è un borgo abbandonato che sembra rincorrere l’oblio, e che non vede l’ora di scomparire.
Il paesaggio d’intorno frana ma, soprattutto, franano le anime dei fantasmi corporali che Estella, la protagonista di questo intenso e struggente romanzo, cerca di tenere in vita con disperato accudimento, realizzando la più difficile delle utopie: far coincidere la follia con la morale.
Voci, dialoghi, storie di un mondo chiuso dove la ricchezza e la miseria sono impastate con la stessa terra nera. Capricci, ferocie, crudeltà, memorie e colpe di un paese di “nati morti” che si tormenta nella sua più greve contraddizione: voler essere strappato alla terra pur essendone il frutto.
Cade la terra è un romanzo che acceca con la sua limpida luce gli occhi assonnati dei morti: sembra la luce del tribunale della storia, ma è soltanto il pietoso tentativo di curare le ferite di un mondo di “vinti”, anime solitarie a cui non si riesce a dire addio perché la letteratura, per Carmen Pellegrino, coincide con la loro stessa lingua nutrita di “cibi grossolani”. Seppellirli per sempre significherebbe rimanere muti.
Ma c’è orgoglio e dignità in queste voci, soprattutto femminili. Tornano in mente le migliori pagine di Mario La Cava, Corrado Alvaro e Silvio D’Arzo: prose appenniniche petrose ed evocative, come di pianto riscacciato in gola, la presa d’atto dell’impossibilità d’ogni epica.
Cade la terra è tassello romanzesco importante della grande letteratura meridionale novecentesca. Che venga pubblicato ora, in altro secolo, è solo la dimostrazione che gli orologi non sempre indicano l’ora esatta” Così Andrea Di Consoli parla di “Cade la terra” il romanzo di Carmen Pellegrino in uscita a febbraio per Giunti.
Dal libro si legge:
“Ci chiamate alla luce da un mondo perduto,» prorompe Consiglio Parisi, vagolando con gli occhi che paiono sempre più di pece «chiedete ragione di singole esistenze che però erano parte di un luogo e di una comunità. Di tutto ciò non possiamo più portare il peso solamente per alleviarne uno vostro. D’altronde, la farfalla che scuote la polvere dalle sue ali prima di riprendere il volo si preoccupa assai poco dei resti del bozzolo che le è servito d’abitazione. Perché sembrate ignorarlo?”
“lo non lo ignoro affatto» gli rispondo con uno scatto sgradevole nella voce che mi sorprende. «Sono qui a difendervi, a dire che, poverini, eravate parte di un meccanismo di soggezione di cui non avevate colpa. Marcello, diglielo che li ho sempre difesi.”
Carmen Pellegrino ha scritto saggi di storia e racconti. Da qualche anno si occupa di luoghi morti rimorti e scampati, borghi, case, stazioni, teatri, luna park abbandonati. Anche di uomini e donne che la storia non ricorda. Nel tempo libero partecipa a funerali di sconosciuti. Vive a Napoli e questo è il suo primo romanzo.